Cosa c’è sotto al bikini?
La due diligence tradizionale mostra il valore patrimoniale di una azienda. Ma è l’analisi del Modello d’Affari che dice se quella impresa può fare soldi.
di Luca Scarabelli – giugno 2019 (un soffio di vento)
I CONTI SONO IN ORDINE
Qualche tempo fa mi chiama un cliente: mi chiede di trovare un acquirente per la sua azienda. “I conti sono in ordine”, mi dice, “li abbiamo verificati con il commercialista”. Azienda di medie dimensioni, produttrice di accessori per un comparto di lusso; da molti decenni sul mercato; fatturati in crescita, dopo alcuni anni di calo.
Per preparare la presentazione da fare ai potenziali acquirenti, analizzo i numeri: mi accorgo che l’azienda è esposta a grandi rischi. Il cliente principale pesa 3/5 del fatturato; la proposta di valore è incentrata sulla azione personale dell’imprenditore; il processo di produzione è imitabile.
L’azienda potrebbe forse essere di interesse per qualche concorrente straniero che cerca un presidio produttivo in Italia, ma il valore reale di mercato è ben più basso di quello che ha in mente l’imprenditore, perché quello che c’è da comperare è solo, appunto, un presidio territoriale, mentre il Modello d’Affari non è difendibile né immediatamente trasferibile.
QUALE IL VERO VALORE DELL’IMPRESA
Per comperare o vendere una azienda di solito si fa una due-diligence tradizionale, cioè si guardano i numeri per capire quanto vale; in realtà si sta solo guardando una fotografia, il Bilancio appunto, che però, come dice un mio amico revisore di PWC, “è come i costumi da bagno: non mostra la parte più interessante”.
Sono stato chiamato da un paio di banche; volevano conoscermi come professionista: mi hanno spiegato che oggi preferiscono concedere credito alle aziende in base al modello d’affari, ovvero a come l’impresa genera reddito, piuttosto che per i patrimoni che possono mettere a garanzia.
Gira e rigira si torna sempre lì: il valore di una impresa è dato dal suo modello d’affari. Se questo è efficiente nell’uso delle risorse, coerente con la proposta di valore e distintivo rispetto ad altre offerte sul mercato, allora l’azienda prospera, si consolida e produce ricchezza; se non lo è, l’azienda arranca, ha difficoltà ad ottenere credito e brucia ricchezza.
È già successo che aziende valutate bene attraverso due-diligence tradizionali, non abbiano poi dato beneficio ai nuovi imprenditori; per contro, capita spesso che qualche start up senza un soldo di fatturato venga valutata dalla comunità finanziaria molti milioni di Euro e finanziata volentieri.
FINCHE’ VENDIAMO TUTTO BENE!
Il Professor Gianni Lorenzoni dell’Università di Bologna, uno dei maggiori esperti Italiani di Economia d’Impresa, mi ha insegnato che è quando le cose vanno bene che bisogna chiedersi perché e non aspettare che vadano male. È indispensabile, per il successo e la longevità dell’impresa, essere consapevoli della propria proposta di valore, cioè del perché il prodotto si vende.
Fare fatturato è buona cosa, ma può essere fuorviante se non si comprende bene perché lo stiamo facendo. Se l’unica risposta che ci viene in mente è “Perché il nostro prodotto piace!”, direi che siamo fuori strada.
La Motorola ce la ricordiamo tutti: era praticamente leader nei telefoni portatili. E che mi dite della Nokia: ricordo che avere uno dei loro telefoni era quasi un traguardo, ai tempi d’oro.
Per favore, guardate la marca del vs smart phone: mi telefoni chi di voi ha ancora un Motorola (nuovo, non quelli d’epoca) o un Nokia. Sapete cos’è successo? Queste due grandi aziende hanno commesso l’errore di non decodificare i loro modelli d’affari, decidendo di non investire i lauti profitti sulla innovazione del modo di fare affari: rapporto e relazione con il consumatore in un contesto ambientale di rapida evoluzione tecnologica.
Tutto è successo nello spazio di pochi anni: ora stanno rincorrendo chi, nel frattempo, si è preso un mercato decuplo rispetto a quello in cui loro lavoravano. Riportate tutto questo alle dimensioni di una Piccola o Media Impresa Italiana (PMI) e valutate risorse bruciate e impatto sulle famiglie coinvolte.
FACCIAMO BENE I CONTI
Avere i conti “in ordine” è quasi il minimo sindacale per una impresa che voglia vivere, consolidarsi e prosperare sul mercato per lungo tempo. Ma il valore vero di una impresa, non è circoscritto al valore patrimoniale e all’avviamento commerciale sintetizzati nel Bilancio: una azienda, pur con tutti i conti in ordine, vale solo per la sua capacità di generare ricchezza.
Questa capacità deve essere misurata con metodi scientifici sostenuti da competenze manageriali consolidate e verificate sul campo. Con tutto il rispetto e l’affetto per i miei molti amici commercialisti e revisori, il loro lavoro e loro ampie competenze non possono riempire questa parte di analisi.
E’ rischioso, per chi compera una azienda, limitarsi alla due-diligence tradizionale: finisce per guardare solo il tessuto del bikini. Come è sconsigliabile che chi vuole vendere la sua azienda si formi aspettative solo sulla “resistenza del tessuto del suo bikini”.
Diciamo che una occhiatina a quello che ci sta sotto è sempre meglio.
(chiedo scusa alle colleghe di genere femminile: i concetti qui esposti valgono anche per i “costumi maschili”)