Quando scade la marca?
Fedeltà dei clienti nel tempo: patrimonio di una marca, ci cui l’impresa deve aver cura.
di Luca Scarabelli (5minuti di lettura piacevole)
La storia
Nel ‘91 ristrutturiamo la casa di famiglia, quella per la vita per la quale si acquista il meglio. In uno dei bagni esageriamo: rubinetteria Linea Class Ideal Standard, disegnata dall’architetto Mario Bellini, innovativa per design e componenti in ceramica: “la Ferrari dei rubinetti”. Spesa decupla rispetto agli altri rubinetti.
Dopo 27 anni, una manopola si è rotta: danno banale, riparabile con un pezzo di ricambio da pochi euro; francamente, sarei anche disposto ad acquistare un rubinetto intero pur di mantenere la stessa serie degli altri elementi, ma l’azienda risponde: “fuori produzione. Ne scelga un altro”. Certo, sono passati 30 anni ma ho ancora nelle orecchie la frase “la Ferrari dei rubinetti”, nonché il prezzo pagato.
Il tema centrale
Qui il punto è il modo di fare azienda e la coerenza della marca e quindi: quando scade una marca? Se, ad esempio, chiedo un prezzo importante, per coerenza e a tutela della marca, quale assistenza devo prevedere?
Ho citato Ferrari: ogni anno vengono ristrutturati, con pezzi originali, modelli che hanno 30, 40 o più anni. Ma voglio citare i trattori Porsche, prodotti fino al 1963: uno spot mostra la consegna di un pezzo di ricambio originale, da pochi euro, in una moderna officina dalla quale poi l’agricoltore riparte con una cabriolet da molte migliaia di euro, rinnovando così la sua fiducia alla marca.
C’è una marca di maglieria tedesca che si fa mandare il capo, magari liso o bucato da una tarma, lo ripara e lo rimanda al proprietario. Costoso certo, ma sono capi disegnati da uno stilista, prodotti con filati importanti e con un costo decuplo rispetto a capi di buona qualità di altre marche: quindi il servizio è coerente con la marca.
Il valore della marca
La marca è un bene di grande valore: distingue l’azienda e crea un legame forte con il cliente che le dà fiducia, la cerca, si vanta di possedere la marca prima del prodotto. Il consumatore dice “ho un Ballantine” non “ho un pullover Inglese con grosse losanghe”, dice “ho una Porsche” non “ho un’auto sportiva con motore posteriore”, dice “ho una Mont Blanc” non “ho una stilografica nera con una buffa macchia bianca”.
Ormai da anni, mi confronto con imprenditori che danno per scontato il cliente: “faccio un buon prodotto, il mercato lo deve acquistare!”. Il tipico imprenditore Italiano è creativo, anche se non sempre innovativo; riesce a produrre o riprodurre buona qualità, concentrandosi su materiali e processi produttivi; spesso, però, si perde quando deve pensare al mercato. Un po’ come se un buon prodotto fosse sufficiente per avere successo.
Ma un prodotto non è solo “l’oggetto che soddisfa un bisogno”. Seth Godin spiega che “il consumatore non compra ciò che gli serve, bensì ciò che lo fa stare bene”. Matteo Motterlini parla di “architettura delle scelte”, in pratica: un comportamento economico (l’acquisto) è frutto di un complesso di elementi di cui “l’oggetto” è solo una componente. Il prezzo sarà una conseguenza logica, spesso emotiva, del valore percepito: ad alto valore corrisponde l’aspettativa di una grande longevità della marca.
L’impegno
Un modello d’affari di successo tende alla soddisfazione del cliente: attenzione alle aspettative e ricerca del benessere. La marca è il sigillo della promessa fatta al cliente il quale desidera che la marca si prenda cura di lui e ci sia, soprattutto, se e quando avrà bisogno, anche a distanza di tempo dal suo acquisto.
Se chiedo al mio cliente di pagare un prezzo particolarmente alto, la mia promessa deve essere coerente anche in termini di durata di assistenza. Quanto è lungo questo periodo? Non c’è una formula per dirlo. E’ l’azienda che deve scegliere quanto sia strategico mantenere un legame nel tempo con i suoi clienti.
Io sono deluso dalla marca dei miei accessori top per il bagno: perché il suo comportamento non è stato coerente con la promessa e quando ho avuto bisogno la marca era già scaduta.